Francesca Cavallini, psicologa, dottore di ricerca, fondatrice di Tice e mamma lesbica di due bambine, racconta da un punto di vista psicologico e scientifico l’omogenitorialità, aprendosi alla propria esperienza in modo consapevole e arricchente.
Se hai delle domande puoi scrivere a francesca.cavallini@centrotice.it
Il mio viaggio con Bice
Quella sera, tornando in auto da Parma sulla A1, accompagnata dal mio inseparabile stile di comunicazione (anche quando parlo da sola attribuisco un tono epico alla mia voce mentre auto- racconto episodi quotidiani trasformandoli in leggenda) ho iniziato a raccontare a quell’ammasso di cellule che ora si chiama Bice, ancora comodamente adagiata nel mio ventre, la storia del mio viaggio.
“Magari ti ho voluta troppo?”
“Dovevo accettare di non averti?”
“Ti mancherà qualcosa?”
Chilometri di strada che si intrecciavano alle mie emozioni, consentendomi di vedere meglio i pensieri.
Ovviamente, un pò di lacrime c’erano.
Mi sono sentita meglio.
Ma non perché ho buttato fuori qualcosa.
No, non per quello.
Bensì perché quella mamma che parlava di se a sua figlia era più vicina all’immagine che avevo sognato di me stessa come madre.
Da quella sera, ogni sera, fino a quando non so, raccontavo a Bice il mio viaggio.
Lei non capiva ma io comprendevo che quel racconto serviva a me.
L’ho raccontata così tante volte che i personaggi sono cambiati, le infermiere sono diventate fate e poi tornate esseri viventi e il donatore, da padre fuggiasco, da figura che poteva rubarmi l’amore, è diventato un essere umano per poi tramutarsi, in una metamorfosi emotiva, in un gesto. Un grande regalo.
Che volto ha la felicità
Quando arriva questa consapevolezza del donatore o della donatrice come esseri umani che fanno un regalo, i dubbi e le domande non finiscono, ma hanno un peso emotivo più gestibile.
Molte volte, ancora oggi, guardando Bice eTullia mi chiedo che volto avrà.
“Che lavoro farà?”
“Perché avrà donato il seme?”
“Lo incontrerò?”
Non c’è nulla di sbagliato in queste domande.
Dobbiamo però accorgerci che sono nostre domande.
Non domande dei nostri figli.
Cosa o chi sarà per nostro figlio non possiamo saperlo.
Come non possiamo sapere, né tanto meno controllare, cosa proverà nei confronti del donatore o della donatrice.
E non potremo mai sapere se sentirà la mancanza di qualcosa o se potrebbe desiderare un incontro.
La consapevolezza di cosa sia per noi, come individui, il donatore, ci darà la serenità di farlo entrare nel nostro viaggio e darà ai nostri figli la libertà di scegliere che ruolo, funzione e immagine dare a questa persona nel loro viaggio di vita.
Francesca Cavallini
Psicologa, Fondatrice di Tice, Docente presso l’Università degli Studi di Parma
Per una consulenza scrivi a: Francesca Cavallini